La volevo.
La volevo con tutta me stessa. Immaginavo quella figura sulla mia mensola,
affiancata da tutti i miei fumetti. Era lì bella, dettagliata, con quelle rifiniture
smeraldo. Lo sguardo corrucciato, l’armatura argentata. Sembrava quasi prendere
vita. Aprendo gli occhi non c’era. Vedevo solo un vuoto.
La volevo e ho risparmiato tanto. Fremevo dalla voglia di averla tra le mie mani.
L’avrei montata pezzetto per pezzetto. Poi finalmente sarebbe stata lì, in risalto
rispetto alle altre. Del resto è il mio personaggio preferito, dal mio anime preferito.
Gli avrei dedicato quasi un’intera mensola!
La volevo tanto che ho rinunciato a quell’uscita con le amiche o a quel libro. Certo,
volevo anche quello, ma il pezzo da collezione aveva la precedenza. Chi ha una
passione potrà certamente capire, vero?
La volevo, ma dovevo aspettare. L’attesa aumenta il desiderio, mi ripetevo tra me e
me. Doveva essere mia, il mio piccolo tesoro da custodire e da ostentare.
La volevo davvero tanto, eppure. Eppure perché questo pezzo di plastica alto 15 cm
si è ridotto solo a questo? Perché l’euforia, l’orgoglio sono spariti così?
Dov’è finita quella brama?
Sono davvero così superficialmente materialista? Mi sono ridotta anche io ad un
mero consumatore di carne di 160 cm?
L’attesa aumenta il desiderio, mi ripetevo. Forse sarebbe meglio aumentare solo
l’attesa. Forse la non soddisfazione del desiderio è il presupposto per il desiderio
stesso. Forse, alla fine, solo l’attesa aumenta il desiderio. Forse…forse, desidero un
po’ di attesa.
La volevo. Ora che sono stata accontentata non la voglio più.
Avanti il prossimo.